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  • Immagine del redattoreAlessia Federiconi

I luoghi comuni sulla performance e come ci stanno danneggiando

La parola performance o prestazione racchiude tanti significati in base al contesto in cui viene usata.


Nello sport si tende a parlare di performance collegandola solo al contesto agonistico e una performance viene valutata esclusivamente basandosi sul risultato: vittoria = buona performance, sconfitta = cattiva performance.


Come si parla di qualcosa, determina come ci si comporta nei confronti di quella cosa. Parlare di buona performance solo in presenza di vittoria e, in generale, di performance solo associata alla gara costringe ad una miopia che non aiuta né lo sportivo amatoriale né l’agonista.


ESISTE SOLO LA PERFORMANCE AGONISTICA?


Se parliamo di performance esclusivamente prendendo in considerazione la prestazione di un atleta in gara ne consegue che, quando parliamo di ottimizzazione della prestazione, il rischio è quello di focalizzarsi esclusivamente sugli atleti ed esclusivamente sulla prestazione in gara.


Focus sugli atleti: focalizzarsi significa dirigere la nostra attenzione. Immaginate la vostra attenzione come fosse un faro, il famoso occhio di bue che a teatro squarcia le tenebre per illuminare l’attore durante il monologo.


Focalizzare la propria attenzione su qualcosa significa lasciare fuori tutto il resto.


Focalizzare la propria attenzione esclusivamente sulla prestazione di un atleta significa non prendere in considerazione la prestazione degli altri, e se negli sport singoli, focalizzarsi su un atleta alla volta va benissimo, negli sport di squadra bisogna stare molto attenti a ingrandire il raggio d'azione dell’occhio di bue affinché comprenda tutti gli elementi di una squadra.


Ma veniamo al caso di una normale palestra, che ha al suo interno qualche atleta, ma che per la maggior parte è costituita da sportivi amatoriali. Focalizzarsi esclusivamente sulla prestazione dei pochi agonisti significa perdere di vista il 99% dei propri iscritti. Uno sportivo amatoriale può non avere interesse nella competizione, è più interessato magari a divertirsi, a rimanere in forma, a fare movimento per stare bene.


In questo caso stiamo ancora parlando di performance? Ha senso parlare di performance? Io credo proprio di sì.


Se prendiamo la definizione di performance che ne danno gli studiosi come Corveillac e Bourguignon citati nell’articolo “A conceptual and operational definition of performance” dei Professori Michel Lebas e Ken Euske, troviamo che la performance è definita come


“un mix tra il risultato dell’agire e l’agire che ha portato a tale risultato”.


Quindi, in primis, si separa il concetto di performance da quello di gara. Se la performance è il risultato dell’agire è una performance qualunque agire sia finalizzato ad uno scopo, che nel contesto sportivo può essere sì la vittoria di una gara, ma anche il divertimento, il benessere, il tenersi in forma, e via dicendo.


Pertanto, se svincoliamo il concetto di performance da quello di gara, si aprono un ventaglio di possibilità e nuovi scenari che i proprietari di palestre e circoli sportivi dovrebbero tenere ben in considerazione, soprattutto da un punto di vista imprenditoriale ed economico.


Se il 99% dei propri iscritti sono sportivi amatoriali, vuol dire che il 99% dei propri incassi sono portati da loro, non dagli agonisti, che anzi, per il livello di attenzione e impegno che richiedono allo staff tecnico, possono essere quasi considerati delle fonti di perdita da un punto di vista ESCLUSIVAMENTE economico...a meno che non siano calciatori...a meno che non ci troviamo all’estero….ma non voglio creare un ginepraio quindi mi fermo qui.


Arrivati a questo punto pertanto abbiamo delle certezze, che sono:

- la mia palestra è costituita per il 99% da amatori

- la prestazione è un mix tra il risultato dell’agire e l’agire che ha portato a tale risultato


Come possono prendere questi due dati di fatto e convertirli in informazioni utili per: migliorare la mia esperienza in palestra o, se sono un proprietario di centri sportivi, migliorare la qualità del servizio offerto dalla mia palestra?


Se sono uno sportivo amatoriale, anche se il mio obiettivo non è quello di gareggiare e vincere titoli, esiste sicuramente un motivo, uno scopo o un obiettivo che voglio raggiungere facendo sport: divertirmi, rimanere in forma, stare con gli amici e via dicendo.


Qualunque esso sia, riconoscerlo, pianificare una strategia per raggiungerlo, imparare a coltivare la mia abilità di stare nel qui e ora per godere al massimo dell’allenamento sono tutte abilità mentali su cui lavorare per ottenere il massimo dal proprio sport e performare al meglio rispetto ai miei obiettivi.


Di converso, ai proprietari di centri sportivi, il consiglio è quello di progettare, in collaborazione con uno psicologo dello sport: allenamenti, workshop, programmi per migliorare l’esperienza dei propri iscritti, offrire un servizio innovativo, in linea con i loro obiettivi e che di conseguenza di traduca con una maggiore fidelizzazione degli iscritti.


HA SENSO VALUTARE UNA PERFORMANCE SOLO DAL RISULTATO? SE L’OBIETTIVO È DEMOTIVARTI ALLORA LA RISPOSTA È SÌ!


All’inizio dell’articolo ho portato due luoghi comuni associati alla performance, abbiamo parlato del primo che vede il concetto di performance associato solo al contesto agonistico, ora veniamo al secondo. Il secondo luogo comune, ma non certo per importanza, è quello che associa la valutazione di una buona performance esclusivamente alla vittoria, e quindi al risultato della performance.


Riprendiamo la definizione di performance data dai Professori Emeriti Lebas ed Euske: la performance è “un mix tra il risultato dell’agire e l’agire che ha portato a tale risultato.”


Questo vuol dire che:


la performance, o prestazione, non può essere definita buona o cattiva in base esclusivamente al risultato che ne consegue.


Nel caso di una competizione agonistica quindi, una performance non può essere valutata esclusivamente in base al fatto che abbia determinato la vittoria o lo sconfitta dell’atleta o della squadra.


Una performance va valutata anche in base al processo che ha portato a quel risultato. Si può aver fatto la miglior performance personale possibile pur non avendo vinto. Ma questo non la rende una performance di minor valore. Qui si apre un tema molto importante per sportivi amatoriali, atleti, allenatori e staff in generale: imparare a valutare e dare valore al processo, non solo al risultato!


Questo tema è strettamente legato alla motivazione e all’autostima, intesa come fiducia in se stessi. Si parla tanto di motivazione, di come sia fondamentale nello sport. La motivazione è così importante che sono addirittura nate delle figure che lavorano solo su questo: i motivatori (a prescindere che lo facciano con cognizione di causa o meno, o con etica).


Imparare a valorizzare una prestazione a prescindere dal risultato che ha ottenuto è forse la più grande conquista a cui atleti, allenatori e staff dirigenziale dovrebbero puntare per sostenere la motivazione e l’autostima dei propri atleti.


Vittoria e sconfitta non sono totalmente sotto il controllo degli atleti. Se la nostra squadra o il nostro atleta ha fatto il meglio che poteva fare, ma di fronte ha trovato un avversario più bravo è inevitabile che il risultato sia una sconfitta, ma questo non dovrebbe togliere merito a quello che ha fatto sul campo di gara. Parlo ovviamente dei casi in cui la sconfitta sia avvenuta nonostante un’ottima prestazione.


Riconoscere la validità di una prestazione, non per il risultato che ha portato, ma per la natura stessa della prestazione, fa capire all’atleta quali sono i suoi punti di forza, lo responsabilizza, gli fa capire che è più di un risultato su un tabellone. Di conseguenza accresce la sua autostima, che è strettamente legata alla percezione di controllo.


Non voglio dilungarmi a parlare della percezione di controllo e dell’autostima, perché sono due argomenti che meritano uno spazio tutto loro sia per l’importanza e l’ampiezza dei temi. Tuttavia ci tengo a dire che l’autostima si basa sulla percezione di controllo e il controllo noi lo abbiamo solo su i nostri comportamenti, non sui risultati che derivano dai nostri comportamenti.


Questo è particolarmente vero in gara, dove oltre alla nostra performance, ci sono le performance dei nostri avversarsi, e su quelli non abbiamo nessun controllo. Così come non abbiamo controllo sulle condizioni atmosferiche, su quanto il pubblico decida di urlare, schiamazzare, insultare o incitare gli atleti e via dicendo.


I risultati di una competizione e di una gara dipendono da tutti questi fattori (e tanti altri), ma la prestazione dipende solo da noi, da come reagiamo agli stimoli, da come facciamo i movimenti, dai movimenti che decidiamo di fare...


Per questo è fondamentale focalizzarsi sull’agire che ha portato al risultato e non sul risultato quando si valuta una performance.


Agli allenatori, agli atleti, ai dirigenti, prima di correre ai ripari chiamando motivatori, mental coach, la nonna, sciamani o invocare l’aiuto dei Santi, quando vi ritrovate ad affrontare momenti di down o atleti demotivati chiedetevi: mi sto focalizzando solo su vittorie e sconfitte per valutare la prestazione?

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