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Immagine del redattoreAlessia Federiconi

Recupero e Riposo nello sport: perché non basta solo dormire


Gli allenatori lo considerano parte fondamentale della programmazione, per gli atleti può rappresentare un momento tanto atteso, quanto, per certi versi temuto.


Sto parlando del recupero, inteso come momento di inattività fisica.


Da un punto di vista fisiologico l’allenamento determina una richiesta all'organismo il quale, in base allo stimolo ricevuto, si adatta attraverso un processo di supercompensazione, che ha lo scopo di migliorare il livello prestativo originale.

In sostanza le prestazioni migliorano perché il corpo si adatta a carichi di lavoro progressivamente crescenti. Il recupero risulta fondamentale perché permette all'organismo di recuperare dopo lo stress indotto dall'allenamento e di adattarsi. Quando il carico di allenamento è eccessivo e non viene compensato da un adeguato periodo di recupero si genera uno stato di sovrallenamento.

L’importanza del recupero è ormai ampiamente attestata, tuttavia più scarsa attenzione è stata dato invece al concetto di riposo.

Recupero e riposo possono sembrare sinonimi ma non lo sono affatto.


Il recupero è un periodo di inattività a seguito di un allenamento, il riposo comprende un aspetto psicologico del recupero.

Il riposo, per utilizzare un’analogia, è la fase di recupero del cervello.

Come il recupero è fondamentale nel processo di allenamento, anche il riposo svolge un ruolo cruciale nella carriera sportiva di un atleta. Tuttavia in pochi, fino ad ora, si sono preoccupati di indagare la funzione del riposo nella prestazione sportiva e quali sono le caratteristiche di un riposo efficace.

Tra questi vi è il Prof. Eccles, Sport Psychology Graduate Program, Department of Educational Psychology and Learning Systems, della Florida State University che ha pubblicato un interessante articolo proprio su questi aspetti, “The forgotten session”: Advancing research and practice concerning the psychology of rest in athletes.

Recupero e Riposo: due mondi a confronto.


Prima di indagare più nel dettaglio il ruolo del riposo nella prestazione e nell'apprendimento motorio è bene chiarire cosa si intende con Riposo.


Far riposare il cervello significa fondamentalmente:

  • lasciare che una volta finita l’attività fisica il cervello “stacchi” e smetta di pensare allo sport e a tutti gli aspetti legati allo sport come: gare (passate o future); risultati degli allenamenti; qualunque genere di questione o problema legati allo sport come litigi con l’allenatore o i compagni; notizie sportive di vario genere collegate al proprio sport e via dicendo.

  • Permettere al cervello di concentrarsi su altro che non sia il proprio sport.

Tra poco vedremo perché è così importante far riposare il cervello ma prima vorrei rispondere a una domanda:

Può esserci recupero senza riposo? Sì, eccome.

Abbiamo detto che il recupero corrisponde ad un momento di inattività fisica.

Il Recupero può prendere la forma di recupero passivo (sonno o momenti di inattività totale) o attivo (mobilità, corsa blanda etc, per qualche suggerimento su un active rest vi consiglio questo video).

Se durante la fase di recupero la mente rumina e ripensa in continuazione a questioni legate allo sport allora c’è recupero ma non riposo.

Gli atleti riconoscono che il riposo fisico e mentale sono indipendenti. Un atleta mentalmente riposato si sente “fresco”, mentre un atleta poco riposato si sente “stanco ed esaurito”. Gli atleti riposati apprezzano di più il loro sport, si sentono più motivati e quindi si impegnano molto di più negli allenamenti e nelle gare rispetto agli atleti che invece si sentono stanchi ed esauriti.

Cosa succede quando non si riposa?

Le conseguenze psicologiche del mancato riposo possono essere: disturbi dell’umore, burnout, esaurimento fisico ed emotivo, insoddisfazione e distacco dallo sport.

Per un atleta è fondamentale ritagliarsi e programmare dei momenti di riposo, oltre che di recupero, per evitare di arrivare all'esaurimento emotivo ed avere cali di prestazione o peggio avere la necessità di staccarsi o abbandonare il proprio sport.


La funzione del recupero per la prestazione e l’apprendimento motorio.

Quando si parla di prestazione è stato ampiamente dimostrato che a fare la differenza sono le ore di pratica deliberata, dove c’è un dispendioso impiego delle risorse mentali necessarie a sostenere le attività del sistema attentivo.

Mantenere l’attenzione su un compito per un tempo prolungato e imparare a direzionarla per cogliere le informazioni rilevanti richiede un gran dispendio di energia mentale. Poiché l’energia mentale al pari della fisica non pesca da un serbatoio senza fondo, è fondamentale dedicare del tempo al riposo, affinché il cervello possa ricaricare le pile.

Da questo principio nascono le centinaia di tecniche, applicate anche nello studio o nel lavoro, che prevedono di alternare momenti di focus a momenti di riposo, come la famosa tecnica del pomodoro.


Come si traduce questo nello sport lo vedremo più avanti nel paragrafo dedicato a come strutturare dei momenti di vero riposo.

Nell'apprendimento motorio il riposo svolge un ruolo altrettanto cruciale.


Nell'apprendimento di un compito di equilibrio sciistico, se le sessioni di allenamento erano separate da un periodo di riposo di 24 ore, vi era un apprendimento nettamente superiore rispetto ad un periodo di riposo di 20 minuti tra un allenamento e l’altro.

La spiegazione di questo fenomeno la si può riscontrare nel processo di consolidazione delle informazioni in memoria il quale coinvolge delle modificazioni neurobiologiche. Questo processo può durare da alcune ore a giorni.

Nel momento in cui si ripete un esercizio dopo poco tempo dall'esecuzione dello stesso si interrompe il processo di apprendimento che si stava consolidando a livello neurobiologico con il risultato di deteriorare l’apprendimento mnemonico.

Per questo far trascorrere un lasso di tempo adeguato è fondamentale per l’apprendimento mnemonico, per lasciare il tempo al processo di apprendimento di consolidarsi prima di innescarne uno nuovo.

Ora che abbiamo chiarito a cosa serve il riposo e quali sono le conseguenze di uno scarso riposo possiamo chiederci: basta semplicemente lasciare tempo tra un esercizio e l’altro e staccare il cervello o c’è qualcosa che si può fare per ottenere il massimo dal riposo?

Anche nel caso del riposo c’è riposo e Riposo.

Può sembrare un controsenso ma anche un riposo di qualità richiede impegno.

Come accennato all'inizio dell’articolo il riposo mentale prevede:

  • la cessazione della pressione mentale legata all'allenamento e alle competizioni;

  • la riduzione dei pensieri legati al proprio sport;

  • la riduzione, in generale, del pensiero faticoso;

  • maggiore controllo sulla propria vita privata;

  • maggiore varietà di attività e ambienti sociali e fisici;

  • maggiori opportunità di impegnarsi in settori della vita al di fuori dello sport.

Più aumenta il livello dell’atleta maggiori sono le pressioni che si ritrova a gestire.


Aumentano le ore di allenamento e quindi il tempo dedicato allo sport; le conversazioni con gli amici e i compagni di allenamento spesso sono incentrate su temi sportivi e anche la dieta e le ore di sono sono attentamente pianificate per raggiungere risultati prestativi.

Nel tempo questo stile di vita può essere logorante. L’atleta si trova a percepire una mancanza di controllo sulla propria vita e la mente è costantemente ingaggiata in pensieri e discussioni legate allo sport. Per evitare le conseguenze già descritte all'inizio dell’articolo: cali di motivazione, frustrazione, fatica mentale e quindi un precoce abbandono, soprattutto degli atleti più giovani, è fondamentale programmare e lasciare spazio a dei momenti di riposo in cui l’atleta:


  • si impegna in attività mentalmente poco impegnative: leggere un fumetto o un romanzo, guardare un programma televisivo non legato allo sport, guardare telefilm, passeggiare nella natura, ascoltare musica. Esistono numerose piattaforme che permettono di ascoltare musica, leggere libri o guardare film/telefilm come Spotify, Netflix, Audible

  • Si ritaglia del tempo per stare da sola/o, per rilassarsi dalla fatica di una conversazione che richiede impegno e attenzione, soprattutto se con compagni di allenamento o amici che parlerebbero di sport

  • dedica del tempo ad attività non legate allo sport: di qualunque genere esse siano. Studio, hobbies non legati allo sport, giocare a videogiochi o giochi da tavola.

  • Frequenta luoghi non legati al proprio sport: locali, città, parchi etc. Qualunque luogo che normalmente non frequenta quando pratica sport. Non parlo solo della palestra o del centro sportivo. Anche dei locali che frequenta con i compagni di squadra; le strade che percorre per andare in palestra, etc.

É molto importate che sia l’atleta a scegliere le attività su cui investire il proprio tempo, soprattutto per contrastare la frustrazione dovuta alla mancanza di controllo nella gestione dell’alimentazione e del proprio tempo.

La paura del riposo e dell’allenamento mancato

Spesso gli atleti faticano a comprendere l’utilità del riposo e provano una spiacevole sensazione di “perdita di tempo” quando l’allenatore inserire le fasi di scarico all'interno della programmazione.

Da dove nasce questo fastidio e questa necessità di allenarsi sempre e costantemente allo stremo delle forze? Il mondo dello sport, soprattutto in occidente, è dominato dalla narrativa dell’atleta instancabile, dell’impegno costante per raggiungere i risultati. Un atleta che dedica tempo al riposo può essere visto come un’atleta pigro. Spesso il riposo viene etichettato come quell'attività da fare "una volta nella tomba”.

I risultati vengono associati all'impegno, ad allenamenti durissimi e ad uno stile di vita “militare”. A livello mediatico non viene mai data importanza e risalto al ruolo del riposo. Pertanto, soprattutto gli amatori, che vivono nel sogno di eguagliare i loro miti, di cui conoscono solo parte della storia, pensano di doversi allenare allo sfinimento per essere come loro, andando spesso ad impiegare il tempo necessario al riposo in allenamenti extra, con conseguenze deleterie per la prestazione e il benessere.

Le società, le palestre e i media, dovrebbero proporre una cultura sportiva più sana, basata anche sul valore del riposo come elemento essenziale per la prestazione, invece di puntare tutto sul duro lavoro e sul riempire il proprio tempo di attività.

Gli stessi allenatori dovrebbero fare attenzione a come parlano del riposo, proprio per dare valore a questa attività e non sminuirla con i soliti luoghi comuni. Allo stesso tempo dovrebbero fare attenzione ad attribuire eccessivo valore alla quantità dell’allenamento e ad essere mentalmente resilienti quando l’atleta è stanco. Questo perché è stato dimostrato che è molto più efficace allenarsi con qualità che con quantità.


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